venerdì 21 aprile 2017

Cervello maschile e femminile tra stereotipi e biologia




Figura utilizzata dalla Dott.ssa Habel per illustrare il potere degli stereotipi di genere; sebbene influenzino il nostro comportamento, spesso non sono fondati su effettive differenze tra femmine e maschi.  Queste credenze implicite sono estremamente comuni, a diverse età, spesso ancor prima della nostra nascita: implicando attribuzioni negative o presupponendo gerarchie, hanno contribuito alla discriminazione delle femmine.



 Dai risultati di una meta analisi delle differenze tra cervello maschile e femminile (1), è emerso che i maschi, indipendentemente alla struttura corporea, possiedono un cervello con un volume dall’8 al 13% maggiore di quello femminile, il quale, però, è avvantaggiato in quanto utilizza meno neuroni ed energia, dimostrandosi così più “ecologico”.
Relativamente alle donne, quindi, le dimensioni del cervello non contano nell’intelligenza; in certi compiti il cervello femminile è addirittura più performante di quello maschile: ragionamento induttivo, abilità matematiche, valutazione e mantenimento in memoria di una situazione in evoluzione. I maschi, invece, detengono prestazioni migliori in compiti di abilità spaziale. Gli studi longitudinali sulle strutture morfologiche del cervello mostrano differenze relative ad età e sesso, specialmente in età adulta e adolescenza.

Nonostante le evidenze neuroanatomiche, non possiamo sostenere affermazioni generali dicendo che le donne in generale sono migliori nel dominio verbale e in maschi in quelli non verbali. Come spiega la Dr.ssa Habel (3), psicologa e psicoterapeuta esperta in neurobiologia di emozioni, cognizioni, ormoni e cervello, ciascuna interpretazione di differenze di genere è stata filtrata attraverso secoli di cultura discriminatoria nei confronti delle femmine: ad esempio, Charles Darwin considerava le donne biologicamente inferiori agli uomini , e, successivamente, Paul Broca, che diede il proprio nome all'area deputata alla produzione del linguaggio parlato, sosteneva che la piccola dimensione del cervello femminile dipendesse in parte dalla loro inferiorità fisica ed in parte da quella intellettuale.

 La valutazione delle differenze strutturali e funzionali è ancora oggi problematica, in quanto esse sono fortemente influenzate da stereotipi di genere, socializzazione e apprendimento, così come geni, ormoni e fattori contestuali ed ambientali. Nel fare ricerca è complicato e talvolta controproducente separare il contributo di ciascuno di questi elementi; è più opportuno, invece, ammettere e conoscere meglio questa innegabile e complessa interazione di fattori.  


L'impatto degli stereotipi di genere è emerso spiccatamente in un esperimento sull’empatia (4). Essa include tre componenti principali: riconoscere l’emozione altrui; assumere la prospettiva dell’altra persona, e sentirla indirettamente, in modo riflesso, con la peculiarità di non essere propria. Osservando delle foto di visi esprimenti diverse emozioni, queste dovevano essere descritte dai partecipanti. Non si sono rivelate differenze significative di genere nella prestazione comportamentale, anche se le femmine hanno considerato sé stesse più empatiche degli uomini nel questionario self-report, sottolineando la presenza di tale stereotipo. Le analisi ottenute dalla risonanza magnetica funzionale hanno evidenziato reti neurali distinte in maschi e femmine; queste ultime hanno mostrato un’attivazione neurale più forte su tutti i 3 aspetti che costituiscono l’empatia nelle aree relative all’emozione, inclusa l’amigdala. Ciò accade specialmente durante l’ovulazione, mostrando il ruolo degli estrogeni nelle risposte empatiche: maggior sensibilità e comportamento prosociale, e socio emotivo. Donne e uomini, dunque, reagiscono con strategie diverse nei compiti emozionali: mentre le prime sembrano reclutare maggiormente le regioni emotive e relative al sé, i secondi attivano maggiori aree corticali, e, quindi, cognitive.


La diversa struttura del cervello può influenzare lo sviluppo di disturbi diversi; nel corso di un’intervista (2), la Dott.ssa Habel spiega come il genere influenzi la neurobiologia delle emozioni ed in particolare parla della maggior propensione delle donne ad ansia e depressione. Vi sono diverse ipotesi relative a statistiche, fattori biologici e psicosociali, e combinazione tra essi. Le femmine sono più propense a chiedere aiuto, quindi costituiscono i maggiori pazienti registrati nelle statistiche; inoltre, la classica diagnosi clinica fallisce nel descrivere depressione maschile che presenta sintomatologie parzialmente differenti. Geneticamente, le femmine sono maggior rischio rispetto ai maschi; estrogeni e progesterone sono ormoni che modulano l’umore, spiccatamente in determinate fasi; la depressione, infatti, è più frequente nei periodi di cambiamenti ormonali, come il post partum e la menopausa. Inoltre, fattori sociali, povertà, stress, basso status, livello di istruzione e disoccupazione predispongono a loro volta al rischio di depressione: spesso la donna esperisce maggiori stress psicosociali degli uomini, perciò sente il peso di molte più responsabilità. 


Concludendo, anche quando non vi sono differenze comportamentali visibili tra maschi e femmine, a livello cerebrale possiamo distinguere ciò che caratterizza l’uno o l’altro genere di appartenenza, in accordo con alcuni recenti studi che dimostrano che nel cervello femminile animale vi è una risposta diversa allo stress rispetto a quello degli animali maschi.  Considerati insieme, questi risultati indicano che uomini e donne utilizzano strategie diverse per raggiungere gli stessi risultati, in accordo con quanto sostiene il Dr. McEwen: non si tratta di strategie migliori e peggiori, (e quindi di un genere sessuale superiore e uno inferiore), ma solo di percorsi diversi. Questa è la migliore interpretazione che attualmente si possiede.
 




(1)

Ruigrok, Amber NV, et al. "A meta-analysis of sex differences in human brain structure." Neuroscience & Biobehavioral Reviews 39 (2014): 34-50.

(2)
Interview for the German Center for Research and Innovation.

(3)

Can brain biology explain why men and women think and act differently? Marilynn Larkin, 12 July 2013elsevier.com /connect/can-brain-biology-explain-why-men-and-women-think-and-act-differently

(4)

Derntl, B., Finkelmeyer, A., Eickhoff, S., Kellermann, T., Falkenberg, D. I., Schneider, F., & Habel, U. (2010). Multidimensional assessment of empathic abilities: neural correlates and gender differences. Psychoneuroendocrinology, 35(1), 67-82.

lunedì 10 aprile 2017

L'uomo bianco non ha tempo di essere contento

10 Aprile 2017


"Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perché hanno perduto il loro tempo.Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina."


 



Questa è una pagina tratta dal saggio antropologico di Erich Scheurmann, Papalagi: Discorsi del Capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa.  Questo artista tedesco, amico di Herman Hesse, durante la Prima Guerra Mondiale fuggì nei mari del Sud, e nel 1920 raccolse in un libro le riflessioni di un capo villaggio polinesiano che rimase sconvolto dopo un viaggio in Europa. Battezzando gli europei col nome di papalagi (uomo bianco), ne descrisse abitudini ed idee considerate univocamente assurdi segni di malattia da parte di quel popolo di indigeni privo di scrittura ed istruzione che, però, pare abbia una profonda comprensione della vita, considerata in modo molto diverso rispetto agli uomini civilizzati.


"Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. "Il tempo mi sfugge !" "Il tempo corre come un puledro impazzito !" "Dammi un po' di tempo !" quelli sono i lamenti più abituali che si sentono dall'uomo bianco.

[…]


 
"..Il Papalagi sopra ogni cosa ama ciò che non si può afferrare e che pure è sempre presente: il tempo. E di questo fa grande scalpore e sciocche chiacchiere. Sebbene non ce ne sia mai più di quanto ne può stare tra il levarsi e il cadere del sole, lui non ne ha mai abbastanza.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il grande spirito perché non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell'ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un'ora. 


[…]


"Quando si vuole fermarli, gridano arrabbiati: ‘Perché mi disturbi? Non ho tempo, vedi piuttosto di usare bene il tuo’. Fanno proprio come se un uomo che cammina in fretta avesse più valore e fosse più coraggioso di quello che cammina più lentamente.
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe gli sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto."




Queste testimonianze ci fanno inevitabilmente riflettere sulla nostra effettiva ossessione del tempo. Noi uomini civilizzati siamo abituati ad una maniacalità nella pianificazione, attanagliati nella morsa di questo maestoso padrone del mondo che è il tempo, durante lo scorrere di epoche di vita scandite da traguardi, abilità, conoscenze la cui presenza o meno funge da netta separazione tra chi sarebbe o no normale-nella norma. Non è forse la stessa imposizione di una norma una sorta di bizzarria rispetto all'imprevedibilità e caos dell'esistenza e dell'universo stesso, sin dalla sua origine? Eppure trascorriamo gran parte della nostre esistenza aggrappati a pensieri, perdendoci la sacralità del Kairos, il momento supremo, opportuno, descritto dai Greci, in contrapposizione al quantitativo e misurabile Kronos al quale siamo abituati e, forse, sottomessi.

"Il Papalagi [l'uomo bianco] pensa così tanto che pensare per lui è diventata un'abitudine, una necessità, addirittura un obbligo. Riesce solo con difficoltà a non pensare e a vivere con tutte le sua membra insieme.
Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati.
Anche se va in giro, parla, mangia e ride. Il pensare, i pensieri, che sono i frutti del pensare, lo tengono prigioniero. È una specie di ubriacatura dei suoi pensieri. Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: «Come splende bene!». E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto. Un abitante delle Samoa intelligente distende le sue membra alla calda luce e non sta a pensare niente. Accoglie in sé il sole non solo con la testa, ma anche con le mani, i piedi, le gambe, la pancia, con tutte le membra. Lascia che la pelle e le membra pensino da sole. E queste da parte loro pensano, anche se in modo diverso dalla testa. Il pensare sbarra il cammino al Papalagi in molti modi, come un blocco di lava che non si può scansare. Pensa lietamente, ma poi non ride; pensa cose tristi, ma non piange. Ha fame, ma non coglie frutti di taro. È per lo più un uomo con i sensi che vivono in inimicizia con lo spirito: una persona che è divisa in due parti.




Da sempre l’uomo ha cercato di dare risposta alla domanda fondamentale della filosofia: "esiste il tempo?" , proponendo soluzioni diverse e contrapposte riguardo alla sua natura. Nonostante sia stata l’unico filosofo a non occuparsi del tempo, Socrate ci ha lasciato l’insegnamento più importante; nel discorso durante il processo precedente alla sua condanna a morte disse:


"una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”.


E' questo il senso del fare riflessioni su ciò che una risposta definitiva non ha, frustrando il bisogno innato di certezze, sicurezze dell'uomo e della società contemporanea civilizzata. "Le uniche risposte a domande senza risposta hanno una sola risposta: lo faccio perché voglio capire pur sapendo che non vi è una risposta definitiva. La ricerca è interesse e curiosità, voglia di conoscere", citando le parole del Prof. Paolo Taroni, storico della filosofia, al convegno "Filosofie del Tempo: concetto, esistenza e natura del tempo". (*)

"Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché, anche supponendo che l’uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: “Non ho tempo di essere contento”. Il tempo è lì, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso"


Ringraziando il capo tribù polinesiano per gli spunti di riflessione validi oggi ancor più che ieri, non ci resta che cercare di fare dei tentativi per tormentarci meno con pensieri sul tempo, vivendo nella pienezza ogni songolo istante, e, soprattutto, rilassandoci, perché
C'è più tempo che vita.




(*)

"Filosofie del Tempo: concetto, esistenza e natura del tempo".
 Il Prof. Paolo Taroni, storico della filosofia, illustra quali concezioni ha assunto nei secoli il concetto di Tempo, percorrendo la storia del pensiero filosofico occidentale dalle sue origini fino ai giorni nostri.